lunedì 23 marzo 2020

Spigolature in tempi di epidemia. Riapriamo le porte a Cristo!

Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 5,29)


Finalmente, il 23 novembre [1793], la Comune decretò che le chiese e i templi dei vari culti esistenti a Parigi sarebbero stati immediatamente chiusi. Chiunque ne avesse sollecitato la riapertura sarebbe stato arrestato come sospetto, e i preti resi responsabili dei turbamenti che sarebbero potuti nascere a tal motivo” (Pierre Gaxotte, La Rivoluzione francese, trad. it. Rizzoli, Milano 1949, p. 353).



Il ministro cattolico del governo repubblicano spagnolo, il basco Manuel Irujo Ollo [1891-1981], in un memorandum sulla situazione della Chiesa nel territorio controllato dalla Repubblica, da lui presentato il 7 gennaio 1937 al Consiglio dei ministri, dichiara che «Tutte le chiese sono state chiuse al culto. Esso è pertanto totalmente sospeso». E per “culto” s’intendevano celebrazione pubblica della Messa, battesimi, matrimoni, funerali, tanto che, quando le truppe liberatrici di Franco entravano nelle città occupate dai socialcomunisti, correvano loro incontro donne per far battezzare i bambini che recavano in braccio, e coppie che chiedevano  il sacramento del matrimonio (cfr. il mio Difesero la fede, fermarono il comunismo. La Cristiada, Messico 1926-1929. La Cruzada, Spagna 1936-1939, Cantagalli, Siena 2019, cap. 3, par. 3, pp. 129-134, e pp. 148-149 [un po’ di auto-pubblicità non guasta]).
Due esempi fra tanti del fatto che non è mancata nella storia la chiusura delle chiese per la proibizione/sospensione del culto nelle sue forme pubbliche. Ma finora, sempre per l’imposizione da parte di un potere rivoluzionario che non poteva non perseguitare il cristianesimo, da parte di autorità civili anti-cristiane che attuano la profezia di Cristo Gesù nei secoli (Gv 15,18-21; Mt 10,16-23). Oggi però ci ha tragicamente pensato, l’ha deciso, la Chiesa stessa di chiudere le porte a Cristo, di chiuderLo dentro e impedire ai fedeli d’incontrarLo nella Santa Messa, nonostante il suo mandato, “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,25), che sebbene non sia stato audio-registrato non è mai stato inteso e praticato “da soli”.

In realtà, proprio mai, no. Un precedente c’è della chiusura delle chiese e della sospensione volontaria del culto pubblico da parte dell’autorità ecclesiastica. Il 31 luglio 1926 tutti i vescovi del Messico, uniti ai loro sacerdoti e ai laici attivi nel contrastare la persecuzione di stato in atto, decretarono la chiusura di tutte le chiese – dalle quali però portarono via il Santissimo (non lo chiusero dentro, non lo “imprigionarono”) – e la “serrata” del culto. Questa però fu un’estrema protesta – discutibile quanto si vuole – contro una persecuzione che stava assumendo toni via via più aggressivi, e contro l’esproprio dei templi da parte del governo. E però il culto proseguì, da libero e pubblico divenne clandestino, ma Messa e sacramenti non mancarono per i fieri e coraggiosi che li chiedevano, grazie ai pochi eroici sacerdoti non uccisi, o imprigionati o esiliati dalla tirannia social-massonica, gli uni e gli altri a rischio della vita (cfr. Difesero la fede, cit., cap. 2, par. 3, pp. 72-90). E la persecuzione nei confronti del cristianesimo in Messico assunse anche un pretesto igienico-sanitario, che non sfuggì al Pontefice allora felicemente regnante (si badi: Pio XI scrive quando la “serrata” religiosa di protesta era già in atto).
“In alcune zone sono state poste condizioni tali all’esercizio del ministero, che, se non si trattasse di cosa tanto lagrimevole, moverebbero alle risa: come per esempio, che i sacerdoti debbono […] non battezzare se non con l’acqua corrente”, per ragioni di pubblica igiene (Pio XI, Lettera Enciclica Iniquis afflittisque, contro le persecuzioni ai danni della Chiesa in Messico, 18 novembre 1926).
Tanti buoni cristiani contro-rivoluzionari in Francia, in Spagna, in Messico e in tanti altri luoghi presero persino le armi per riconquistare o difendere la libertà d’andare a Messa, di ricevere i sacramenti, di entrare in una Chiesa per adorare l’Ospite cui non è impedito di ricevere; insomma, di vivere la fede.
Oggi, invece, gerarchia, clero e laicato, rassegnati, parlano di “obbedienza”, che diventa un idolo, nel momento in cui da mezzo si trasforma in fine.
Così ha ritenuto di esprimersi un noto e serio intellettuale cattolico.
“Senz’altro, se ci vengono pensieri di critica verso le indicazioni delle autorità civili e religiose, possiamo essere certi che non vengono dal Signore”.
Io non so se avrebbe detto lo stesso nella Francia rivoluzionaria, nella Spagna repubblicana social-comunista, nel Messico social-massonico, etc.. Ma certo, sia pure con mezzi diversi, pacifici, oggi come allora il culto pubblico è sospeso, è interdetto. E tale interdizione è persino consentita, se non applaudita, per la sua “giusta” causa.
Il che è assai pericoloso. Infatti, per ciò solo viene completamente sovvertita la gerarchia delle cause. Cioè si perde il senso del soprannaturale, per cui la Messa che viene comparata, anzi subordinata, ad esigenze – quanto fondate io non lo so, ma diamo per scontato che le siano – naturalistiche, perde, o rischia seriamente di perdere, non in sé stessa, ovvio, ma nella coscienza diffusa la sua dimensione infinita. Sociologicamente perde il suo rango: la domenica, come è sospeso il campionato di calcio, così si sospende la partecipazione alla Messa del popolo cristiano.
Sento già il solito idiota che dice “questo riguarda solo i credenti, che non possono imporre le loro considerazioni a tutti gli altri, che non credono, o credono diversamente”. Appunto, riguarda i credenti, che non possono farsi imporre considerazioni sulla Messa che non sono le proprie. Poi, l’entità cosmica e assoluta della Messa non dipende dalla fede di chicchessia, ma solo da quella del sacerdote che la celebra, che se non intende fare quel che fa la Chiesa, allora non è celebrante di nulla. Però, quando è celebrata, anche eventualmente dal peggiore dei sacerdoti, essa vale infinitamente più dell’intero universo e di tutta la storia umana, così come la legge di gravità si applica anche a chi stoltamente la negasse.
Da questo deriva un’altra conseguenza. Se lo stesso idiota di prima dicesse che è questione di bene comune, cioè io posso pure da credente espormi al contagio, ma se mi colpisce rischio di danneggiare un numero indefinito di altri, rispondo non tanto naturalisticamente – non è dimostrato in alcun modo che l’ingresso in chiesa con le stesse precauzioni dell’ingresso al supermercato, o la partecipazione alla Messa anch’essa con precauzioni, siano rischiosi, e soprattutto ad oggi li siano ugualmente ovunque -, ma sempre nel modo cristiano che m’hanno insegnato. Se penso che andare a Messa, adorare il Signore, pregarlo, confessarmi e comunicarmi, possa essere dannoso o anche solo pericoloso per la salute pubblica; se temo la vita cristiana perché potrebbe essere pregiudizievole per la vita naturale mia o altrui; allora altro non sono che un uomo di poca o nulla fede. Le chiese sono rimaste aperte, le Messe pubbliche sono state celebrate, i sacramenti sono stati impartiti, là dove la Chiesa non è stata impedita, sotto le bombe, in tempo di peste, di colera, di influenza “spagnola” (salva, per quest’ultima, qualche piccola eccezione locale negli Stati Uniti, che tuttavia non so come fu accolta dal Papa di allora). E certamente questo è stato benefico anche per i c.d. non credenti o diversamente credenti: la pioggia di grazie bagna tutti, irriga ogni suolo, serve il bene comune più d’ogni predicozzo moralistico.
Credo proprio di poter dire che non solo la Messa e il resto sarebbero benefici per tutti, ma anche che il primo rischio, umanamente parlando, di questa auto-chiusura delle porte a Cristo, che sublima l’auto-demolizione, è che si perda la buona “abitudine” (la virtù è un abito buono, e le buone abitudini sono virtù acquisite) d’andare a Messa, una volta che questa nella coscienza comune perda come dicevo d’assolutezza, e venga relativizzata ad esigenze varie, come oggi quelle epidemiologiche, sovvertendo il rapporto tra salute e salvezza.
Ma non solo. A mio avviso con poca lungimiranza si suggerisce, non potendo andare a Messa, di guardarla in televisione (il che evidentemente non ha alcuna connotazione negativa). Noi preferiamo la strada comoda e in discesa. E certo, tra andare a Messa e guardarsi una Messa, la seconda è più “facile”. Quindi è possibile che si prenda una cattiva abitudine, cioè si pensi che la Messa in televisione valga quella presa personalmente. Allora dev’essere ben chiaro che la Messa in televisione (o in alta modalità a distanza) sta alla Messa, come un’immaginetta sta alla Santa Ostia consacrata. E poi pensiamoci bene: al momento della consacrazione c’inginocchiamo? E davanti a chi? Al Signore? NO! Davanti ad uno schermo! Nessuno pensi di lavarsi la coscienza proponendo, in alternativa alla presenza al santo sacrificio, quello che non può essere nemmeno considerato un surrogato, figuriamoci una valida sostituzione. Senza dire che la Messa è quanto di meno televisivo esista, e potrebbe persino venire ulteriormente a noia.
Io temo davvero che dopo quest’esperienza il rischio di vedere le nostre chiese sempre più vuote sia serio.
In gioco è la stessa quidditas della Chiesa, in quanto continuazione di Cristo nella storia, suo Corpo Mistico, che ha il compito ontologico di celebrare la sacra liturgia (che sapete bene vuol dire culto pubblico), offrire il santo sacrificio, far scorrere nelle sue vene la grazia sacramentale. I cattivi l’hanno capito da subito – come il diavolo che possedeva un uomo a Cafarnao, cui fa riconoscere per primo chi fosse Gesù oltre il suo volto umano (Lc 4,34) -: una Chiesa senza liturgia non è sé stessa, manca la sua missione, “imprigiona” Gesù, lo nasconde, non lo comunica. E quindi hanno sempre provato ad impedirla. Ora è la Chiesa stessa che se la impedisce. Per obbedienza e per la salute fisica.
Non si può.
E chiudo perciò con una tesi audace, che forse qualcuno troverà inaccettabile.
Ritengo che se anche fosse scientificamente provato che l’apertura delle chiese per tutti sacramenti e i funerali, e la celebrazione della Messa cum populo, fossero fattori di diffusione del contagio virologicamente ed epidemiologicamente parlando, ugualmente le chiese dovrebbero rimanere aperte, i sacramenti conferiti, i funerali tenuti, le Messe cum populo celebrate.
Anzitutto, perché possa essere chiaro ad un’umanità teofobica o indifferente a Dio, che perciò in crisi di fede (forse clero e alto clero compresi) cerca solo il benessere, ed è terrorizzata dalle malattie e dalla morte – certo le teme più del peccato, se non invece del peccato -, fino al panico e alle nevrosi, possa essere chiaro, dicevo, che c’è molto di più, d’infinitamente di più, della salute fisica e della vita temporale, che per questo vanno sanamente relativizzate.
Ma soprattutto perché se un po’ di fede sposta le montagne (Mt 17,20), figuriamoci se non trattiene un virus, specialmente se in gioco sono la celebrazione e la partecipazione al santo sacrifico della Messa. E non è – credo – spiritualismo o sovrannaturalismo.
Capisco però che a dire una cosa del genere si rischia il linciaggio, e forse non solo morale.
Ed è probabilmente questo che ha indotto le nostre gerarchie, senza opporre resistenza e quasi anticipando i supposti desiderata del governo, a ridurre l’apertura della chiese a poche ore al giorno, e a chiuderle alla celebrazione della Messa cum populo: farsi apprezzare, e non criticare (“visto come siamo responsabili e ragionevoli, e non fanatici di quelle cose in fondo non essenziali che sono i riti?”) dalle autorità civili e dalla pubblica opinione nel panico.

Giovanni Formicola

Pubblicato su: https://www.marcotosatti.com/2020/03/30/formicola-chiese-chiuse-per-ordine-del-governo-un-precedente-rischioso/#comments

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