mercoledì 15 aprile 2020

Et in Arcadia ego

Nel 1962, in un convegno a Londra sul "futuro dell'uomo", un medico ricercatore dell'Università di Pennsylvania d'origine polacca (forse non è indifferente questa sua origine), il professor Hilarius Koprowski, ironizzava sul clima evoluzionistico-ottimistico del simposio e sulle sue pianificazioni del futuro magnifico e progressivo con un drastico memento "It's funny, you will dead someday". Insomma, rievocava l'antico motto sepolcrale, con il quale Schiller iniziava una sua poesia del 1786, Et in Arcadia ego, cioè a dire, Persino in Arcadia io, la morte. Lo racconta Josef Pieper nel suo Speranza e storia (trad. it. Morcelliana, Brescia 1969 [1966-1967], p. 84): il progetto - e la correlativa speranza - del "paradiso" in terra si schianta sull'elementare osservazione del professor Koprowski.
 
 
 
 
 
Nel XVII secolo era in gestazione l'dea di Progresso, che prometteva all'umanità l'età dell'oro, l'ascesa della vita, la pace perpetua, il regno della libertà e dell'uguaglianza, il "cielo sulla terra", purché si liberasse della fede "chiesastica" (dirà Kant) e delle autorità e dell'autorità della tradizione - certo, quando tutti i contemporanei sarebbero morti (ed anche noi). Fu allora che comparve quest'iscrizione su alcuni dipinti d'importanti pittori, tra i quali il Guercino e Nicolas Poussin. Quest'ultimo la riportava s'una pietra tombale, quasi a voler far tornare al reale il suo tempo.

Anche il nostro tempo cerca di escludere dal suo orizzonte la morte - ma non l'omicidio: entrambi sono portato del peccato originale, solo che con il secondo la volontà di potenza che non riesce a fermare la morte, anzi ne è terrorizzata, pretende governarla riservandosi il diritto d'infliggerla all'innocente "a fin di bene" o d'infliggersela -, che però si ostina ad abitare la sua Arcadia. E oggi un piccolo virus gliela mostra viepiù, come una catastrofe insopportabile, che paralizza persino gli uomini di Chiesa, almeno molti di loro e purtroppo ai vertici.

Eppure, secondo Donoso Cortes, "la singolare fortuna delle epoche catastrofiche sta nel fatto che i tempi malsicuri sono i più sicuri; vi si apprende quale concetto farsi e quale comportamento assumere di fronte al mondo" (cit. parafrasato da Josef Pieper in Sulla fine del tempo, trad. it Morcelliana, Brescia 1959, p. 107). Infatti, “non è l'umanità il fine dell'umanizzazione” (Konrad Weiss), che non può rimanere al di qua del tempo senza dissolversi.
 
Giovanni Formicola

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