sabato 4 agosto 2018

Pena di morte

I. Malgrado quanto noi giornalisti ci sforziamo di far credere, spesso e volentieri i giornali non rappresentano affatto l'opinione pubblica.
Il problema della pena di morte è uno di quelli in cui sembra più profonda la frattura tra gente e media. Questi, quasi senza eccezioni, respingono indignati anche solo la prospettiva di dibattere una questione che giudicano talmente anacronistica e incivile da non meritare alcuna attenzione.
Nei giornali in cui mi è capitato di lavorare, ho visto cestinare, con ribrezzo, le molte lettore dei lettori sull'argomento. Eppure, tutti i sondaggi mostrano che, se si andasse a un referendum popolare, certamente il risultato sarebbe per la reintroduzione del plotone di esecuzione o del boia, almeno per i crimini particolarmente esecrabili.
Ce ne sono riprove concrete: stando al rapporto annuale di Amnesty International, la pena di morte contrassegna ancora il diritto penale di ben 99 Stati (l'80 per cento delle esecuzioni riguarda Paesi che hanno la pretesa di essere modello ad altri come gli Stati Uniti, l'Urss, la Cina), senza che movimenti importanti di opinione ne chiedano l'abolizione. Nei circa 30 Stati dell'unione nordamericana in cui si e conservata l'esecuzione capitale, tutte le iniziative per cancellarla sono state vanificate dalla volontà popolare. Questa, in certi casi, ne ha addirittura imposto la reintroduzione.
Ma si sa che i cantori della democrazia - giornalisti e politici in prima linea - sono selettivi: per loro, la maggioranza delle opinioni e dei voti è “nobile manifestazione della volontà popolare” quando va nel senso da loro auspicato; e diventa “disprezzabile rigurgito reazionario” quando si esprime in modo non gradito ai loro pregiudizi e schemi.