Nel romanzo di Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo (trad. it., Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993) compare in un suo snodo cruciale una figura, “John il selvaggio”. Il personaggio che si ribella a tutta la perfezione di plastica, artificiale e prodotta in laboratorio, del “mondo nuovo”, la cui risposta al vuoto esistenziale che crea nell’uomo è la somministrazione di una droga sintetica, che lo aliena ancora di più. E, verso la conclusione della storia, John ha un dialogo drammatico con uno dei reggitori di quel «brave new world», in cui l'igiene è perfetta, la malattia è sparita grazie all'ingegneria genetica, il distanziamento sociale è spinto fino alla proibizione della riproduzione vivipara e al divieto di tenere in braccio e allattare i bambini.
«“[...] Io amo gli inconvenienti [fece il selvaggio].
«“Noi no” disse il Governatore. “Noi preferiamo fare le cose con ogni comodità”.
«“Ma io non ne voglio di comodità. Io voglio Dio, voglio la poesia, voglio il pericolo reale, voglio la libertà, voglio la bontà. Voglio il peccato”.
«“Insomma” disse Mustafà Mond “voi reclamate il diritto d’essere infelice”.
«“Ebbene sì” disse il Selvaggio in tono di sfida “io reclamo il diritto di essere infelice”.
«“Senza parlare del diritto di diventar vecchio e brutto e impotente; il diritto di avere la sifilide e il cancro; il diritto d’avere poco da mangiare; il diritto di essere pidocchioso; il diritto di vivere nell’apprensione costante di ciò che potrà accadere domani; il diritto di prendere il tifo; il diritto di essere torturato da indicibili dolori d’ogni specie”.
«Ci fu un lungo silenzio.
«“Io li reclamo tutti” disse il selvaggio finalmente»1 .
1 A. Huxley, op. cit., pp. 213-214.