mercoledì 15 aprile 2020

Morte e speranza

Prendo spunto dall'intervento del professor Leonardo Lugaresi (del quale consiglio di leggere anche un altro intervento sulla questione del proselitismo) per proporre una mia piccola riflessione.


Che la morte sia la vera magna quaestio sulla quale s'infrange ogni pretesa risolutiva, cioè auto-redentiva, della modernità – intesa non cronologicamente ma kairologicamente, cioè come connotazione d'una epoké chiusa ad ogni prospettiva ultratemporale –, è talmente evidente, che non mette conto affannarsi a dimostrarlo.

Et in Arcadia ego

Nel 1962, in un convegno a Londra sul "futuro dell'uomo", un medico ricercatore dell'Università di Pennsylvania d'origine polacca (forse non è indifferente questa sua origine), il professor Hilarius Koprowski, ironizzava sul clima evoluzionistico-ottimistico del simposio e sulle sue pianificazioni del futuro magnifico e progressivo con un drastico memento "It's funny, you will dead someday". Insomma, rievocava l'antico motto sepolcrale, con il quale Schiller iniziava una sua poesia del 1786, Et in Arcadia ego, cioè a dire, Persino in Arcadia io, la morte. Lo racconta Josef Pieper nel suo Speranza e storia (trad. it. Morcelliana, Brescia 1969 [1966-1967], p. 84): il progetto - e la correlativa speranza - del "paradiso" in terra si schianta sull'elementare osservazione del professor Koprowski.
 
 
 
 

sabato 11 aprile 2020

Santa Pasqua di Risurrezione

Cristo è risorto, è veramente risorto. Egli non è "rivissuto", per poi morire "di nuovo" come Lazzaro. Il sepolcro è vuoto. Definitivamente. Gesù è vivo, il suo Cuore batte e palpita tutt'ora, soprattutto quando si rende presente, in tutta la Sua realtà di Uomo-Dio, sempre e ovunque, fino alla fine dei tempi, sugli altari in tutto il mondo, tutti i giorni, per le mani consacrate del sacerdote nel sacrificio eucaristico.

La Risurrezione e l'eucaristia fondano e giustificano la pretesa cristiana: il Re è tra noi, e non c'è potere temporale cui il Suo corpo mistico, la Chiesa, debba e possa sottomettersi. Lui c'è, non è un'idea, né un'immagine, e ogni liturgia della Messa è una vittoria irreversibile sulla tendenza di ogni autorità terrena a farsi assoluta. A credersi superiorem non recognoscens (cfr. Luca Diotallevi, La pretesa. Quale rapporto tra vangelo e ordine sociale?, Rubbettino, 2013).

Vi mostro una fotografia - che debbo a un caro amico - che è figura paradigmatica di un'attuazione di questa pretesa, cioè del giusto ordine del rapporto tra le autorità civili e le istituzioni che "incarnano" nella funzione, così rappresentando la civitas, e la Presenza, quindi il vangelo, e la Chiesa come anticipazione del Regno.

Tanti cari auguri a tutti per una Santa Pasqua di Risurrezione.
 
Giovanni Formicola