Devo dire che per la prima volta in vita mia (voto dal 1976) non ho certezze elettorali (naturalmente ne ho di negative). Ho votato sempre le formazioni o coalizioni più invise al sistema nazionale e sovra-nazionale, in una parola quelle «incostituzionali», che avessero prospettive di governo, o che occupassero spazi sociali, e oggi secondo questo criterio sono in difficoltà.
Per spiegarmi, devo fare due premesse, e più avanti un’altra considerazione di principio. Tutte, naturalmente, dal mio punto di vista cattolico e tradizionale, cioè contro-rivoluzionario.
1. Credo che in democrazia sia impossibile la scelta elettorale per il meglio (ciò che rifletterebbe la costituzione naturale e cristiana dell’ordine temporale, o vi condurrebbe), ma rimanga sempre e solo quella per il meno peggio, che si ritiene – a torto o a ragione – possa almeno limitare, trattenere (un katéchon, persino involontario), se non arginare, il male morale, culturale, politico, sociale ed economico che si propone la dominante Rivoluzione anti-cristiana. Questa agisce anche (non solo) mediante le forze politiche che sono dalla sua parte, e persino mediante quelle che semplicemente ne ignorano l’azione, ovvero, anche se lo vorrebbero, non la sanno contrastare o sono semplicemente una Rivoluzione di segno contrario (le «false destre», come li furono i fascismi). E ciò perché la democrazia ideologica moderna, figlia legittima della Rivoluzione in Francia, non ha come scopo eleggere chi dovrà governare o amministrare un sistema ordinato più o meno intorno ai principi del diritto naturale e cristiano, e perciò non in discussione, ma mette ai voti progetti di sistema alternativi, più o meno radicali, comunque ostili a tali principi. Così, il vero e il bene integrali (che comunque non possono essere messi ai voti) non hanno rappresentanti, perché patiscono una sorta d’interdetto socio-culturale, e perciò suonano impopolari, dalla «parte sbagliata della storia», quindi non produttivi di consenso. Solo a fini esemplificativi e di sintesi, il paradigma, in questo senso e naturalmente servata (l’enorme) distantia e mutatis mutandis, può essere rinvenuto nell’esito del «ballottaggio» fra Gesù e Barabba.
2. Il divieto di mandato imperativo esclude ogni garanzia per l’elettore: non avevo certamente votato la Lega (per i motivi sopra indicati) perché entrasse in maggioranza con i 5 Stelle, e men che meno perché, alleandosi con il PD, sostenesse Draghi e la sua politica psico-sanitaria, oltre il resto. Costui è infatti il mandatario dei poteri forti che stanno colonizzando i popoli con un’agenda irreligiosa (mediante sincretismo insipido e immanentista, «inclusivo» ed «ecumenico», cioè sostanzialmente ateo), malthusiana, abortista, eutanasista, omosessualista (con il corollario di compravendita di bambini e il genderismo come ideologia ufficiale, anche nelle scuole), immigrazionista, socialista (tassazione persecutoria, controllo elettronico di tutte le attività economiche, tendenziale eliminazione del «piccolo» e della proprietà), ecologista. Tale agenda è soprattutto nemica dell’ordine naturale e cristiano, dalla vita alla famiglia alle stesse libertà elementari, compreso l’habeas corpus sanitario. E mi scuso per tutti questi necessari ismi.
Che fare allora? La risposta va data alla stregua della dottrina sociale della Chiesa, che non è dottrina «socialista», cioè socio-economica e basta, ma ha la sua fonte principale nel dialogo tra Gesù e Pilato, in cui il Signore rivendica la sua Regalità (che è, e non può non essere, anche sociale, cfr., per esempio, l’enciclica di Pio XI Quas primas) – la quale non gli viene certo de hoc mundo, cioè non è «democratica» – , e ammonisce il potente che dovrà rendere conto a Dio dell’esercizio del suo potere, perché gli viene da Lui, e quindi non è illimitato e perciò non esclusiva fonte del diritto, di cui ve n’è una metafisica e naturale che lo sovrasta, al di là d’ogni relativismo nichilista.
Non votare – che per i motivi su esposti, oggi aggravati dalla subalternità al sistema di tutti gli attori «grossi» in campo, sarebbe la scelta più spontanea e naturale, ma gradita al sistema – è sbagliato: i cristiani non si sono mai estraniati dalla vita sociale, a tutti i livelli (cfr. la Lettera a Diogneto), e chi predicava tale esilio interno – per esempio i montanisti – è stato condannato come eretico. La politica è importante e va «fatta» anche col voto, sebbene non solo e non principalmente, perché «Dalla forma data alla società [ch’è appunto la politica], consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime». (Pio XII, Radiomessaggio di Pentecoste 1941).
Interviene qui, allora, l’altra considerazione di cui dicevo. Se è vero che ormai nelle condizioni date chiunque governi dovrà sottostare – più o meno volentieri, con maggiore o minore entusiasmo – al totalitarismo solo apparentemente morbido dei poteri forti, e al loro strapotere finanziario e mediatico, non si può dire che chiunque vinca sarà la stessa cosa. Trump nominò alla Corte Suprema tre giudici dalle convinzioni più giuste rispetto a quelle dei loro predecessori, e – cosa ancora più incredibile – forti in tali convinzioni, tanto da non farsi intimidire dalla tempesta mediatico-politica e dalle minacce che li hanno colpiti dopo l’abusiva pubblicazione della bozza di sentenza sull’aborto, che negava fosse «diritto» costituzionale, cui hanno saputo tener fede. Se avesse vinto invece la signora Clinton, questi giudici non avrebbero fatto parte della Corte, e questa non avrebbe potuto invertire una tendenza che sembrava irreversibile (confermando che la storia non è irreversibile, se non s’intende tale rettificazione come impossibile meccanico ritorno allo status quo ante) sull’aborto «legalizzato» e addirittura elevato a «diritto», aprendo strade che sembravano non chiuse, ma inesistenti, che ora attendono solo d’essere percorse da chi abbia volontà buona, con l’aiuto di Dio. Quindi non è bene che governino i Clinton italiani. E se è vero che non c’è in competizione un Trump, e nemmeno un Orbàn, comunque è meno peggio che governi chi ne abbia la reale possibilità al posto degl’italici Clinton e Biden – che ci stanno anche portando alla rovina economica per eliminare un oggettivo incomodo al potere globale, intervenendo in una guerra che non ci riguarda, con sanzioni inutili, e costosissime forniture d’armi –, sostenuti dalla palude «centrista», che come sempre ha i suoi nemici solo a destra.
Questo senza troppa fiducia, già di genere (credere di risolvere i problemi con la scheda elettorale è illusorio – un governo meno peggio, che non è il male minore, ma il bene possibile, ch’è un’altra cosa, al massimo può dare un po’ di spazio in più a chi voglia lavorare seriamente sul piano pre-politico «dal basso», seminando per raccogliere quando sarà) e poi di specie. Ma non si può escludere a priori una divina sorpresa, che però certo non potrebbe venire dalla sinistra in tutte le sue versioni, e nemmeno dal nichilismo morale e intellettuale dei 5 Stelle, ovvero dalla suddetta palude centrista.
Comunque, e in concreto, la scelta m’è difficile, considerando la linea dei partiti principali – nei principi dichiarati e nei fatti recenti essi sono lontanissimi se non estranei, come ho detto, alla mia prospettiva contro-rivoluzionaria, cioè per l’ordine e la civiltà cristiane –, e l’inutilità di forze diverse, che non hanno saputo neanche fare fronte e garantirsi l’ingresso in Parlamento per sostenere buone leggi e opporsi fattivamente alle cattive, mostrandosi inaffidabili perché concentrati sui loro miseri (elettoralmente) orticelli.
Però è certo che non voterò Forza Italia, ormai patetica nella sua guida e soprattutto completamente prona al politicamente, moralmente, sanitariamente e internazionalmente corretto. Vedrò all’ultimo chi sarà meno lontano dai princìpi non negoziabili – tutela della vita, della famiglia, libertà d’educazione –, dalla difesa della proprietà e delle libertà, non ultime quelle economica (oppressa dalla persecuzione fiscale e dal divieto dell’uso del contante), e sanitaria, e dalla cura dell’interesse, identità e sovranità nazionali, contro l’immigrazionismo, le gabbie globaliste e l’uso indecente di guerra e sanzioni.
Giovanni Formicola