venerdì 19 aprile 2019

La morte di Gesù e la discesa agli inferi

Per quanto riguarda la definizione della morte di Cristo, essa è stata in tutto una vera morte umana, quindi ha comportato la separazione dell’anima dal corpo, come mostrano i Vangeli dicendo che Gesù emise lo spirito dal corpo. Gesù è stato veramente morto per circa tre giorni1, fino alla risurrezione. Nello stato di morte, la sua natura umana ha conosciuto il paradosso2 che tutti i morti conoscono: la separazione dell’anima dal corpo. Nel caso unico di Gesù, però, l’anima e il corpo, pur separati tra loro, erano sempre l’umanità del Verbo, perché ipostaticamente uniti nella natura divina. Questo vuol dire che la natura umana di Gesù, anche nello stato di morte, è sempre la natura umana assunta dalla Persona del Figlio. Mentre durante la vita terrena (e dopo, nella vita risorta), anima e corpo sono uniti, e così li possiede la Persona divina, durante la morte il Verbo continua sempre ad assumerli, ma separatamente3. Il corpo morto di Cristo che sta nel sepolcro è sempre il corpo del Verbo e così l’anima. La morte di Gesù è stata vera morte, come sottolinea il Nuovo testamento enfatizzando che Egli fu <<sepolto>> (non si è trattato, quindi di una morte apparente). Il corpo del Signore viene sigillato nella nuda roccia di un sepolcro appena fuori di Gerusalemme e lì attende, incorrotto, la sua risurrezione.



Cosa ne è dell’anima di Gesù? Alcuni testi del Nuovo Testamento fanno cenno al fatto che in quei circa tre giorni intercorsi tra morte e risurrezione, Cristo <<in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione>> (1Pt 3,19). Con la sola anima, ma continuando sempre a assumere il corpo che sta nel sepolcro, il Verbo si recò ad annunziare la salvezza da Lui ottenuta a certi spiriti, cioè anime separate dai corpi e quindi uomini morti (cf. 1Pt 4,6), che attendevano in un “luogo” che San Pietro chiama la <<prigione>>. Qui la Tradizione cristiana ha precisato i termini utilizzando l’espressione limbus patrum, il Limbo dei Padri, da non confondere con il Limbo dei bambini. Il Limbo dei Padri era un luogo, o meglio uno stato di attesa4. Gli spiriti del Limbo sono le anime dei Padri, cioè dei giusti vissuti prima di Cristo, che avevano meritato il Cielo per la loro condotta di vita, ma non potevano entrare nel premio eterno perché le porte dell’Eden erano ancora presidiate dai Cherubini posti da Dio dopo il peccato di Adamo (cf Gen 3,24). Per la Tradizione, anche Adamo ed Eva si trovavano nello stato di Limbo5. Essi e tutti i loro discendenti rivedono ora l’annuncio che l’attesa è terminata: Cristo stesso va a portare questo Vangelo di liberazione; le porte del Cielo sono di nuovo aperte. Così si può leggere ora in modo cristologia un antico salmo:
Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia.
[…] Il Signore degli eserciti è il re della gloria (Sal 24,7-8.10).

Cristo è il Signore potente, che ha riportato vittoria nella sua battaglia contro Satana, il peccato e la morte. Per questo, dinanzi al suo trionfo, si devono aprirete porte antiche, chiuse da lungo tempo. Egli le varcherà per primo (Ultimo Adamo), ma dopo di Lui e grazie a Lui, molti altri seguiranno (è Primogenito di coloro che risorgono). La discesa agli inferi di Cristo non è, allora, un <<cammino verso i morti>>, un condividere l’esperienza di tenebra dei morti, come voleva Giovanni Calvino (✝ 1564), che immagina l’anima di Cristo soffrire la pena del danno, ossia la pena dei dannati dell’inferno (ma gli “inferi” dove va Cristo e l’inferno non sono la stessa cosa!). La croce è il punto di abbassamento e di umiliazione più radicale (la croce è kenosi: svuotamento o totale spoliazione, come dice Fil 2,7-8). Dopo la croce, inizia già la risalita verso il Padre (cf. Rom 10,7). La discesa agli inferi è in realtà il primo passo della risalita alle sfere celesti. Il Verbo si reca nel Limbo dei Padri non come un morto trai morti, ma come il Vincitore che libera i morti (cf. Col 2,15; Ap 1,18)6. Questo si vede anche dal fatto che il Simbolo degli Apostoli - antica professione di fede precedente il IV secolo - mette insieme in un unico articolo la discesa agli inferi e la risurrezione: <<discese agli inferi e risuscitò il terzo giorno dai morti>>7.



Il mistero della discesa agli inferi mostra che la redenzione di Cristo è universale anche in modo retroattivo. Davvero Gesù è il centro della storia, che con la sua potenza sale anche coloro che sono vissuti sulla terra prima di Lui. Il potere di mediazione salvifica di Gesù si estende non solo a tutti i luoghi, ma anche a tutti i tempi. Il che non implica che Egli salvi tutti i singoli, ma solo coloro che, in ogni luogo e in ogni tempo, <<si erano congiunti alla sua Passione mediante la fede informata dalla carità>>8.

Mauro Gagliardi, La Verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica, Cantagalli, pp. 311-313.

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Note

1 - La cifra di tre giorni è corretta se si conta come gli ebrei, calcolando anche il giorno stesso della morte, e non a partire da quello successivo, secondo il modo comune tra i moderni. Altrimenti, bisogna dire che Cristo è rimasto nel sepolcro circa un giorno e mezzo.

2 - La separazione dell’anima dal corpo è paradossale perché è innaturale. Essa si è introdotta nel mondo come conseguenza del peccato di Adamo.

3 - <<Sebbene morì come uomo e la sua santa anima si separò dal suo corpo incontaminato, la divinità rimase inseparabile dall’una e dall’altro, cioè dall’anima e dal corpo>> (san Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, III, 3) Cf. STh III, 50, 2-3; 52, 3.

4 - Con grande probabilità, Gesù stesso ne parla, chiamandolo <<seno di Abramo>>, nella parabola esposta in Lc 16.

5 - Per la corrente principale della Tradizione, nonostante siano stati colpevoli del peccato d’origine, Adamo ed Eva sono stati salvati da Cristo. Lo attesta sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 23, 2. In III, 23, 8 aggiunge: <<Mentono, dunque, tutti quelli che negano la sua [di Adamo] salvezza […] perché non credono che è stata trovata la pecora che era stata perduta. Infatti, se essa non è trovata, tutto il genere umano è ancora in potere della perdizione>>. Nel medesimo testo, il Lionese ritiene che sia stato Taziano il Siro (✝ 180) ad introdurre per primo <<questa opinione, o piuttosto ignoranza e cecità>>, affermando che Adamo sarebbe stato condannato all’Inferno eterno.

6 - <<La natura divina è discesa nella morte, non per essere trattenuta dalla morte secondo la legge delle creature mortali, ma per aprire le porte della morte a quelli che grazie a Lui sarebbero risorti. E’ come se un re si rechi ad una prigione ed entrato dentro apra le porte, sciolga catene e ceppi, infranga cancelli e chiavistelli, conduca fuori alla libertà quelli che erano incatenati e restituisca alla luce e alla vita quelli che sedevano nell’oscurità e all’ombra della morte (cf. Sal 106,10). Diremo allora che il re, certo, è stato in prigione, ma tuttavia non nella condizione che era stata di quelli che venivano tenuti in prigione: ma quelli vi erano tenuti per scontare le pene, egli invece c’è venuto per rimettere le pene>>. (Origene di Alessandria [✝ 254], Explanatio Symboli, 15).

7 - Così sintetizza il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 633: <<Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’Inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto>>.

8 - STh III, 52, 6.

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