Sin dalle risposte di Gesù ai farisei - non c'è solo Cesare (Mt 22,21) -, e a Pilato - Cesare, che c'è, è però subordinato a Dio, dal quale ripete il suo potere, e al quale perciò deve rendere conto e subordinarsi nei suoi atti, come il mandatario al mandante (Gv 19,11) -, si evidenzia una prospettiva che non ignora il mondo, anzi.
E il mondo, che non è certo esaurito dal suo ordinamento socio-politico, però abbondantemente coincide e s'identifica con esso, pur nel primato logico e cronologico della società civile e di tutte le sue articolazioni, dalla persona alle società e gruppi intermedi. In ragione delle risposte di Gesù, tuttavia, a fronte e "sopra" l'ordinamento socio-politico mondano si pone la Chiesa Corpo mistico di Gesù e continuazione della Sua presenza nella storia, con la pretesa d'esserne del tutto indipendente, che non vuol dire costitutivamente in conflitto, né che alcune regole del mondo non valgano anche per essa, come per esempio quelle che riguardano la sicurezza nella costruzione di un edificio, quantunque sacro.
E il mondo, che non è certo esaurito dal suo ordinamento socio-politico, però abbondantemente coincide e s'identifica con esso, pur nel primato logico e cronologico della società civile e di tutte le sue articolazioni, dalla persona alle società e gruppi intermedi. In ragione delle risposte di Gesù, tuttavia, a fronte e "sopra" l'ordinamento socio-politico mondano si pone la Chiesa Corpo mistico di Gesù e continuazione della Sua presenza nella storia, con la pretesa d'esserne del tutto indipendente, che non vuol dire costitutivamente in conflitto, né che alcune regole del mondo non valgano anche per essa, come per esempio quelle che riguardano la sicurezza nella costruzione di un edificio, quantunque sacro.
La Chiesa, dunque, fin da subito si è trovata ad "interessarsi" di politica e spesso a contendere ad essa non solo spazi di libertà - il meno -, ma soprattutto a chiederle di essere "esaltata" (si prega pro exaltatione Sanctae Ecclesiae), in quanto anche la società e il suo stato, a modo loro, devono culto a Dio (il che previene ogni totalitarismo). Questa "esaltazione" non consiste in un potere clericale, cioè del clero - Dio guardi! -, ma nel pubblico riconoscimento della sua (superiore) potestà spirituale per la salvezza delle anime, e quindi della sua presenza con i sacramentali pubblici (dall'unzione dei re, al crocifisso nei pubblici ambiti), ma soprattutto della subordinazione degli atti di governo e della legislazione alle esigenze del vero bene comune, quindi del diritto naturale, e fino a un certo punto anche divino. Per capirci, la legislazione civile non può costringere nessuno alla Messa e ai sacramenti cattolici, ma non solo non può e non deve impedirli, bensì deve facilitarne la pratica e sostenerla, comunque sia in concreto possibile. Insomma, è in gioco l'attuazione della regalità universale, quindi anche sociale, di Cristo (cfr. Pio XI, Lettera enciclica Quas primas, sulla regalità di Cristo, dell'11 novembre 1925). Tutto ciò, naturalmente non sarà possibile per decreto legge, ma il decreto legge sarà possibile per consenso diffuso nella società e richiesta di questa. Insomma, quando le genti gridano che libero vogliono Gesù e non Barabba. E questo avviene, certo con il concorso dell'Alto, ma dal basso: solo la Gerusalemme celeste cala da su, quella terrena è opera del continuo sforzo di conversione, anche delle strutture sociali, da parte degli uomini, come s'è detto Deo adiuvante.
E' perciò inevitabile la compromissione (non certo il compromesso, però) politica della Chiesa, che tuttavia non può consistere nel darsi come scopo, da un lato, la ricerca di meri benefici materiali per sé e per i suoi; dall'altro, in un orizzonte meramente secolare che dice regno con la minuscola, "come approdo della storia", e lo risolve per esempio nelle tre "T" dei MP, in cui Francesco articola il lemma "giustizia" della triade ch'esso forma con "pace" e "salvaguardia della creazione" (cfr. Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, vol. I, trad. it. Rizzoli, Milano 2007, pp. 77-78). Perché così la speranza cristiana viene ridotta a un qualunque Prinzip Hoffnung di bochiana-marxista memoria (cfr. Ernst Boch [1885-1977], Das Prinzip Hoffnung [Il Principio Speranza]).
La Chiesa, dunque, ha da subito "trattato" con la politica, cioè in quel tempo con l'impero e l'imperatore. Non li ha mai disprezzati e condannati in sé stessi - l'eresia di Montano, il montanismo cui aderì Tertulliano, fu subito proscritta, anche per la sua avversione ai poteri terreni in quanto tali e la conseguente pretesa che i cristiani si ritirassero dalla vita civile (II-III secolo) -, ma ha solo cercato di metterli al loro posto fino a riuscirci. Ha cioè rifiutato loro l'auto-deificazione e l'assolutizzazione ( superiorem non recognoscens) del potere temporale ( nihil potestas, nisi a Deo), e quindi ha negato, a costo del martirio, il sacrificio alla persona o ai simulacri dell'imperatore. Cesare ha sempre preteso d'occupare tutto lo spazio, almeno tendenzialmente, ma con la Rivoluzione ha teorizzato la forma moderna dello stato, la più intrusiva, oppressiva e ostile alle libertà personali, alle autonomie sociali e territoriali, e alla Chiesa e alla sua "pretesa", anche quando si organizza in modo democratico e non perseguita in modo cruento.
E non solo ha "trattato" per la propria libertà. Gli stessi elementi simbolici sono stati materia del contendere, nella piena consapevolezza della loro influenza egemonizzante sulla mentalità e il costume. Nota in proposito la disputa tra sant'Ambrogio (vincitore) e il praefectus urbi Simmaco circa la presenza in Senato della statua della dea Vittoria; come noto è il gesto con il quale lo stesso santo impedì a Teodosio, che pure dieci anni prima aveva dichiarato il cristianesimo religione dell'impero, l'ingresso in chiesa finché non si fosse pentito della tremenda strage di Tessalonica e avesse fatto idonea penitenza.
Ricapitolando, la Chiesa s'è sempre interessata di politica, conforme alla dimensione incarnata della sua costituzione e alla natura sociale dell'uomo.
Lo ha fatto per due fondamentali ragioni.
Prima - nel senso del primum vivere -, per ragioni di legittima difesa e per poter essere libera di compiere la propria missione evangelizzatrice in chiave escatologica.
Seconda, perché la costituzione d'una società cristiana, cioè d'una società che riconosca, in forza della propria identità religiosa e culturale cristiana diffusa e presente, di fatto egemone, la regalità anche sociale di Cristo e esalti la Santa Chiesa nel proprio vissuto, cioè, una società che sia situata all'interno d'una civiltà cristiana aiuta l'evangelizzazione, la favorisce e condiziona (non causa) positivamente il bene delle anime.
Come ebbe a scrivere Pio XII - che non "inventa" niente,
“Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s'insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell'errore della depravazione. Dinnanzi a tale considerazione e previsione come potrebbe esser lecito alla Chiesa, madre tanto amorosa e sollecita del bene dei suoi figli, di rimanere indifferente spettatrice dei loro pericoli, tacere o fingere di non vedere e ponderare condizioni sociali che, volutamente o no, rendono ardua o praticamente impossibile una condotta di vita cristiana, conformata ai precetti del Sommo Legislatore?”(Pio XII, Radiomessaggio di Pentecoste 1941, nel L anniversario della Rerum novarum).
Dottrina confermata quasi in modo testuale dalla Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 36.c.
E ribadita da Benedetto XVI, a proposito dell'importanza per la Chiesa della storia - che è " politica sperimentale", come insegna de Maistre (trovate il riferimento a p. 42 del mio Difesero la fede..., e lì anche un detto di Cantoni sul medesimo argomento). Egli sottolinea come la Chiesa, che non è del mondo, ma è nel mondo, non può prescindere dal suo contesto storico per la propria missione, e studiare tali contesti nella successione delle epoche passate aiuta a capire e muoversi nel presente, visto che Gesù ha suggerito di essere anche astuti come serpenti (Mt 10,16), e di non farsi infinocchiare dai figli delle tenebre che risultano sempre più scaltri dei figli della luce ( Lc 16,8) .
"Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso. […] È indubbio infatti che la Chiesa possa trarre ispirazione nelle sue scelte attingendo al suo plurisecolare tesoro di esperienze e di memorie» (B. XVI, Discorso ai membri del pontificio comitato di scienze storiche, 7 marzo 2008).
Giovanni Formicola
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